E’ esperienza di molti melomani essere rimasti talvolta infastiditi all’ascolto di una qualche voce, non a causa di carenze nell’abilità tecnica o nelle capacità interpretative del cantante, ma per le caratteristiche del suo vibrato, magari molto stretto, di “voce caprina”, oppure ampio e oscillante, di “voce ballante”, e sentirsi un po’ in colpa nel non riuscire -“solo” per quel difetto – a godere del suo canto. Ma cos’è il vibrato, e quali le caratteristiche che deve possedere per essere piacevole all’ascolto e giudicato “normale”?
Secondo la fisica acustica, il vibrato nasce da fluttuazioni nel tempo della frequenza, dell’intensità e del timbro della voce, esiste perfino nel canto di varie specie di uccelli e viene utilizzato anche negli strumenti ad arco e a fiato. Strumenti come l’organo e la celesta posseggono, a loro volta, accorgimenti tecnici, meccanici o elettronici, che permettono di produrre effetti di vibrato.
Si parla di vibrato di ampiezza quando l’emissione della voce è caratterizzata da variazioni periodiche di intensità durante la produzione del suono. Questo tipo di vibrato non si riscontra in tutti i cantanti e non è sempre presente nella stessa voce, né ha sempre le stesse caratteristiche in numero di fluttuazioni al secondo. Il vibrato di frequenza è invece molto più interessante del precedente in quanto sempre costante, costituito da piccole variazioni di altezza tonale, ad un ritmo che può variare da 3 a 8 e oltre variazioni al secondo.
Già le ricerche elettromiografiche di Mason e Zemlin nel 1966, avevano evidenziato come il vibrato di frequenza ha origine nei muscoli cricotiroidei, a conferma che, essendo esso un fenomeno di variazioni di altezza tonale, è legato ai muscoli principalmente determinatori delle variazioni di altezza. Le ricerche di Rossi hanno poi stabilito che nei soggetti con migliori doti vocali e con buona impostazione della voce, il vibrato oscilla tra valori di 1/4 di tono temperato e poco più di 1/2 tono, con frequenza compresa tra 5 e 7 variazioni al secondo, si presenta in forma di onde sinusoidali regolari, rimanendo sempre entro limiti fisici in cui risulta piacevole all’ascolto e compare quasi sempre con un leggero ritardo rispetto all’attacco del suono. Nei soggetti meno allenati, o con eccessiva preponderanza di uno degli aspetti dell’equilibrio respiratorio (appoggio/sostegno) o dell’equilibrio posizionale laringeo e delle cavità di risonanza (“punta”/”cavità”), il vibrato risulta meno regolare, perde talvolta il carattere sinusoidale, ed ha una ampiezza che oscilla tra molto meno di 1/4 di tono (voce più fissa, vibrato poco evidente e tendente al “caprino”, tipico di situazioni di rigidità nell’impostazione) e quasi un tono temperato (vibrato ampio e tendenza al “ballamento” in relazione alla riduzione del numero di oscillazioni al secondo, tipico del rilassamento fisico delle strutture fonatorie o di tecniche di eccessivo affondo laringeo e respiratorio). Si è anche evidenziato che nelle emissioni troppo aperte il vibrato è quasi assente, cioè l’impressione acustica è di maggiore “fissità” della voce, proprio perché l’emissione aperta è supportata da iperattività della muscolatura estrinseca laringea che tende a “bloccare” le fisiologiche escursioni verticali della laringe e la costringono ad una posizione relativamente più elevata rispetto al canto coperto. Anche la quantità del flusso aereo che attraversa le corde vocali, minore durante l’emissione aperta, suggerisce l’atteggiamento costrittivo e spinto dell’emissione.
Sono stati descritti, in foniatria, tre tipi di vibrato:
– vibrato a bassa frequenza (3-4 oscillazioni al secondo) con modulazioni-variazioni di altezza e intensità variabili, riscontrabile in alcuni cantanti di colore e di musica popolare, jazz e soul; nel canto lirico tale frequenza di oscillazione viene percepita come inestetica e assimilata al “ballamento di voce”;
– vibrato a frequenza intermedia (tra 4 e 6 oscillazioni al secondo) e con modulazione di altezza tonale di circa un semitono, tipico del cantante d’opera allenato;
– – vibrato ad alta frequenza (con 6-10 oscillazioni al secondo ed oltre) e con ampia fluttuazione dell’intensità vocale che viene descritto come tremolo. Il tremolo, se non inteso come figura di abbellimento, risulta però una forma indesiderabile ed eccessiva di vibrato (voce caprina). Dunque, anche se le caratteristiche acustiche del vibrato possono variare, esiste un range estetico oltre il quale l’orecchio comincia a percepire le fluttuazioni di tali parametri in modo spiacevole.
Il vibrato di intensità, come abbiamo detto, è molto più variabile rispetto al vibrato di frequenza, ed è condizionato dalla situazione morfofunzionale delle strutture sovraglottiche di risonanza. Il vibrato di frequenza, invece è presente in tutti i cantanti, è sicuramente di origine laringea, e deve essere contenuto entro limiti fisici alquanto precisi perché l’emissione vocale sia di buon livello e risulti piacevole all’ascolto. Quando il cantante è ad un buon livello di studio ed allenamento, ha una buona gestione della respirazione costodiaframmatica e non canta, come si dice gergalmente, “di fibra”, il vibrato diventa automatico e può essere influenzato dai centri nervosi superiori, in particolare può essere volontariamente regolato dalla corteccia pur risentendo di modificazioni legate alla tensione prestazionale ed emotiva.
Le indagini di Metfessel su incisioni di Caruso hanno messo in evidenza come la frequenza del vibrato di Caruso, nel crescendo, variava da 7.25 a 7.75, e le variazioni di altezza passavano da un terzo di tono a oltre due terzi di tono. Sono state addotte due giustificazioni per spiegare la velocità del vibrato di Caruso: l’artista era sempre euforico ed eccitato in scena, dopotutto era il re incontrastato del Met, e inoltre tendeva a forzare. Non è mistero che proprio questo lo privò di una stagione alla Scala ed una al Metropolitan.
In scena la tensione prestazionale determina sicuramente non solo una maggiore “brillantezza” nei suoni emessi, per elevazione dei valori della “formante di canto”, ma anche una dinamica più spiccata nella frequenza delle oscillazioni che caratterizzano il vibrato di un esecutore.
Ovviamente le caratteristiche corporee costituzionali e l’appartenenza morfologica di un soggetto ad una data categoria vocale (cioè la disposizione ad un repertorio piuttosto che a un altro, quindi a un preciso “impianto vocale”) stabiliscono delle variazioni di qualità del vibrato, entro margini esteticamente nella norma, che fanno la differenza ad esempio tra vibrati in varia misuri più stretti come in Morino, Von Stade, Battle, Bergonzi, ecc. e quelli più ampi di Bruson, Giacomini, Ricciarelli, Callas, ecc.
Quando l’emissione vocale è caratterizzata da un vibrato irregolare o le oscillazioni in altezza tonale e intensità sono molto ampie o la loro periodicità nel tempo troppo lenta o rapida, il cantante è sottoposto ad un giudizio estetico. In effetti, in questi casi, il coordinamento muscolare che controlla le caratteristiche del vibrato è sbilanciato e per cambiarlo, come sanno molti docenti di canto, non bastano pochi trucchi, ma un graduale riallineamento ad una tecnica corretta.
Quando la voce è sotto il controllo dei centri cerebrali superiori, l’attività muscolare è pronta e il vibrato normale, ma quando l’equilibrio psicofisico del cantante è inadeguato e i fattori emozionali diventano predominanti il vibrato sarà troppo veloce. Ottenere l’equilibrio psicofisico e muscolare nel momento della performance è necessario avere appreso un ottimo ed equilibrato controllo tonico della respirazione senza irrigidimenti e, soprattutto, una buona scioltezza articolatoria a livello laringeo, mandibolare, linguale e labiale. Proprio a rigidità e tensioni muscolari in tali distretti sono spesse volte imputabili vibrati molto stretti. Qualsiasi tensione parassita, qualsiasi forzatura nell’emissione e qualsiasi sbilanciamento tecnico nella produzione di un suono possono trasformare il vibrato in tremolo. Un vibrato eccessivamente stretto è legato a tensione muscoloscheletrica e rigidità muscolare, atteggiamenti forzati, sbilanciamento in eccesso di tecniche di sostegno respiratorio e lavoro “in maschera”, laringe in posizione elevata, ma ancor più spesso in situazioni di tensione articolatoria, rigidità della base linguale e protrusione mandibolare, ritardo nel “cambio di registro” con subentrante ipercinesia fonatoria.
La causa tecnica di un vibrato esageratamente ampio è invece riassumibile nel concetto di “sovraccarico”: esso può essere il surmenage lavorativo, o la frequentazione di un repertorio eccessivamente pesante per tessitura e dinamiche di intensità per quella voce, oppure la ricerca di sonorità eccessive con affondo laringeo e respiratorio, o ancora cambi di registro troppo precoci che impongono un bilanciamento in eccesso di intensità per evidenziare uno spessore vocale non congruo alle reali possibilità morfologiche del soggetto, o infine l’invecchiamento con cedimento nel tono e nell’elasticità muscolare. E a tal proposito ognuno di noi potrebbe citare prestazioni imbarazzanti di qualche “vecchia guardia” che insiste nel volerci lasciare non solo bei ricordi…
Il trillo è invece una sorta di “vibrato esagerato”, descritto dal Garcia come alternanza di due note, con intervallo di seconda maggiore o minore, prodotto da rapide oscillazioni della laringe. La frequenza di oscillazione al secondo è maggiore del vibrato ma può in alcuni casi sovrapporsi; la distinzione percettiva è allora dovuta alla maggiore escursione tonale propria del trillo.
Le ricerche di Metfessel e Vennard misero in evidenza, nelle voci di Amelita Galli-Curci, della Callas, della Horne e della Sutherland che, mentre nel vibrato la frequenza di oscillazione dell’intensità e dell’altezza tonale erano identiche, nel trillo la velocità di variazioni dell’intensità risultava doppia rispetto a quella delle variazioni di altezza tonale. In altri termini, la tecnica di esecuzione del trillo finisce per fornire un rinforzo acustico, per l’orecchio dell’ascoltatore, sugli estremi delle fluttuazioni di altezza tonale facendolo così differenziare nettamente dal normale vibrato.
Il trillo qui descritto è quello ottocentesco, da non confondere ovviamente con il trillo antico, abbellimento caratteristico della “sprezzatura” nel “recitar cantando”, che era scritto -come il tremolo- su uno stesso grado e consiste, come stabiliva Caccini, “nel ribatter ogni nota con la gola”, dura più del tremolo e ha un ritmo che precipita da 1/2 a 1/4 a 1/8. Dalle opere di Caccini e Rognoni si deduce che, a differenza del trillo, lunga ribattuta di gola sulla stessa nota, il “gruppo” si ribatteva su due gradi congiunti ed era in qualche modo più vicino al trillo ottocentesco.
Analogamente, il tremolo inteso come “vibrato ad alta frequenza di oscillazione”, prima ricordato, non ha nulla a che vedere con il tremolo indicato come figura di abbellimento nel canto antico. Bovicelli lo descriveva come un “tremar di voce sopra ad una stessa nota”. Il tremolo era quindi scritto sullo stesso grado. Definito da Zacconi come “mossa gagliarda et vehemente”, deve essere regolare e non forzato, “succinto et vago”, cioè più corto e rapido della ribattuta di gola, e si caratterizza per un lieve aumento di intensità della voce prima della sua comparsa, come per sottolineare il successivo tremar di voce, con frequenza di oscillazioni che arriva fino a 12-13 al secondo.
E proprio pensando al canto rinascimentale e barocco ci riaffiora alla mente l’antico dilemma: se l’emissione vocale del repertorio antico debba essere fissa o vibrata.
Nella prefazione al “Combattimento di Tancredi e Clorinda”, Monteverdi prescrive che “la voce del Testo doverà esser ferma et di bona pronunzia”. Careri ha ipotizzato che, essendo prescritto che la voce del Testo –commentatore dell’azione- dovesse essere fissa e “quasi inespressiva”, per opposizione quella dei due personaggi poteva essere vibrata, riconoscendo così alla vocalità rinascimentale e barocca due possibili modi di emissione in rapporto con la presenza o meno del vibrato. In una nostra indagine del 1990, analizzando elettroacusticamente la prassi di alcuni esecutori rinascimentali e barocchi, risultò che la voce di tali interpreti si muove alternando suoni “fissi” a suoni “vibrati”. Inoltre, in altri studi, si è evidenziato come suoni percepiti per essere fissi mostrano in realtà, all’analisi acustica, la presenza del vibrato. Uberti aveva giustificato questa constatazione con la presenza frequente, legata alla tecnica rinascimentale da camera, di vibrati in opposizione di fase, con percezione di una intonazione più netta come rinforzo della frequenza principale.
Tra il repertorio barocco e un’opera di repertorio melodrammatico esistono dunque delle differenze, oltre che nella prassi esecutiva, anche nella gestione tecnica della voce. Ce ne dà conferma Anna Caterina Antonacci: “Sì, perché la scrittura è diversa. In Monteverdi è più un “recitar cantando” che richiede un’emissione diversa, mentre invece il belcanto è più legato”. Ma il contenimento di un vibrato come quello a cui siamo abituati nel melodramma, è la conseguenza di un apprendimento della prassi esecutiva con gli specialisti del settore e non sembra essere una differenza tecnica nel tipo di emissione. Continua l’Antonacci:“Io non sento una differenza di emissione, o forse la faccio senza accorgemene. Dipende da un senso istintivo di gusto, ad esempio si sente che il vibrato che uno utilizza in un’opera di Bellini è fuori luogo in un’opera di Haendel o Monteverdi; inoltre il minor vibrato aiuta molto i trilli barocchi come mi ha insegnato il maestro Christie, e quindi è proprio una questione di stile.
La ricerca del contenimento del vibrato è un adeguarsi allo stile, non è legato al volume perché io non ho l’impressione di cambiare o dare minor volume alla voce, o forse lo faccio istintivamente perché ovviamente l’orchestra è più piccola. La ricerca di un suono fisso può essere, ma solo in pochissimi momenti, un elemento espressivo”.