04 giugno 2021

Il canto in tempo di COVID


La pandemia da COVID 19 ha favorito il diffondersi di opinioni e credenze non sempre reali e oggettive. Ma cosa dice veramente la scienza?

Le restrizioni relative al canto e ad altre prestazioni vocali dovute alla pandemia COVID-19 hanno avuto per gli artisti enormi conseguenze professionali, finanziarie ed emotive e hanno portato a una pletora di opinioni e pubblicazioni non sempre supportate da oggettività.
Ovviamente, le diverse tipologie di performance richiedono diversi livelli di complessità per rendere ottimale la sicurezza in relazione alla possibile carica virale a cui ci si espone e alla lunghezza della esposizione.
Il rischio di carica virale aumenta:

  • cantando o riunendosi per periodi di tempo più lunghi,
  • aumentando il numero di cantanti in uno spazio chiuso,
  • quando vi sia capacità limitata di pulire l’aria in quello spazio.

I palcoscenici e gli spazi per gli spettacoli, ma forse ancor più gli spazi per le prove, potrebbero non essere ben ventilati o non avere finestre da aprire. Lo stesso vale per le scuole di musica e i conservatori. Sebbene possa sicuramente aiutare la presenza di ventilatori in stanze con le porte aperte, la mitigazione del rischio sarà comunque sempre correlata alla durata delle prove o della performance, dallo spazio, dalle dimensioni del gruppo che si esibisce.
Secondo i Centers for Disease Control, il numero di persone che contraggono COVID-19 varia con l’età. In generale, le persone più giovani hanno maggiori probabilità di contrarlo, poiché sono più socialmente attive e rappresentano una porzione maggiore della forza lavoro rispetto alle persone anziane.
Le persone sopra i 65 anni, o con malattia polmonare cronica, gravi patologie cardiache o malattie che compromettono il sistema immunitario, sono invece a più alto rischio rispetto al resto della popolazione. Con un contrasto quindi tra i numeri dei casi per età e le complicanze per età. Molti artisti professionisti rientrano nella fascia di età compresa tra i 20 e i 45 anni, con il maggior numero di casi, mentre la fascia di età tra i 45 e i 70 anni è quella in cui altre complicazioni di salute aumentano il rischio di complicazioni che richiedono il ricovero in ospedale e probabilmente una terapia intensiva.

Com’è noto, il virus SARS-CoV-2 può essere trasmesso in tre modi:

  • trasmissione diretta, senza un tramite (attraverso le goccioline o droplets, che sono le particelle più grandi trasmesse (più grandi di 5 μm= micron, dove il micron o micrometro corrisponde a un milionesimo di metro). La trasmissione per contatto diretto avviene attraverso il contatto da persona a persona, ad esempio tramite una stretta di mano o un altro contatto, con successivo autotrasferimento del virus alle mucose del ricevente;
  • contatto indiretto (le droplets cadono rapidamente dall’aria in prossimità dell’ospite e non fluttuano nell’aria, precipitano e rimangono sulle superfici). Il contatto indiretto si verifica quando particelle virali atterrano su oggetti nell’ambiente che vengono comunemente toccati.
    Gli oggetti, sedie, vestiti o oggetti condivisi, una volta che le particelle li toccano, sono indicati come “fòmiti”;
  • trasmissione per “airborne”, cioè tramite particelle più piccole dei 5 micron, sono i cosiddetti aerosol, e sono un rischio infettivo importante perché possono rimanere sospese nell’aria per ore. Più piccola è la particella, più è probabile che raggiunga il tratto respiratorio inferiore quando viene inalata. Proprio tramite gli aerosol gli spazi più piccoli con minore ventilazione e maggiore carica virale, con più persone presenti, portano a tassi di infezione più elevati.

Mentre in un colpo di tosse o uno starnuto, logicamente, ci sono più droplets, quando parliamo di voce è invece più importante la trasmissione tramite aerosol che trasportano una carica virale più elevata in quanto la loro umidità evapora trasformandoli in nuclei di goccioline virali concentrate.
Se il respirare e il parlare portano di per sé all’aerosolizzazione delle particelle, risulta anche che le corde vocali stesse, essendo lubrificate da uno strato idrolipidico, contribuiscono durante la loro vibrazione alla generazione di particelle di medie dimensioni, motivo per cui nel parlare e cantare i cantanti sarebbero maggiormente a rischio di trasmissione.

Dato che gli aerosol si accumulano in ambienti chiusi, è improbabile che la trasmissione sia un evento one hit ma piuttosto il risultato di un’esposizione cumulativa.
Si è inoltre compreso che quanto più si fona ad alta voce, più particelle di aerosol vengono prodotte, quindi con un aumento del rischio quando si canta e si parla in pubblico con voce proiettata.
Di fatto, alcune ricerche hanno evidenziato che parlare e cantare mostrano forti aumenti della concentrazione di aerosol con l’aumento dell’intensità di voce (90-100 dB), mentre a bassi volumi (50-60 dB) non risultano significativamente diversi dalla respirazione. Questo giustifica la segnalazione di diversi eventi corali con focolai di COVID-19.
D’altra parte già in uno studio del 1968 si era evidenziato che con il canto era più alta la diffusione della tubercolosi rispetto al solo parlare.

La quantità di aerosol dispersa dai cantanti varia a seconda delle consonanti, delle vocali, dell’intensità e del tono.
Uno studio della facoltà di Ingegneria dell’Università di Princeton ha evidenziato, usando una telecamera high-speed a ultrarossi e tracciando le emissioni di CO2 in un cantante lirico, che il quoziente di flusso espiratorio si mantiene costante (circa 10 litri/minuto), mentre la velocità di flusso varia tra 0.1 e 10 metri al secondo.
Dal momento che il quoziente di flusso si mostra piuttosto costante durante la performance, ne deriva che la velocità di flusso è controllata dalla apertura della bocca e le dinamiche di flusso sono condizionate dagli aspetti articolatori fonetici (ad esempio la pronuncia delle consonanti occlusive portano a flussi più veloci; una minore apertura della bocca trasporta l’aria espirata su distanze maggiori di un metro, mentre le vocali che richiedono una maggiore apertura della bocca portano a flussi più lenti di limitata propagazione). L’emissione puramente vocale è perciò meno problematica riguardo al distanziamento di quanto non sia, nel parlato o cantato, l’articolazione consonantica intensa.

Non sono state notate differenze significative nella produzione di aerosol tra i sessi o tra i diversi generi (corale, teatro musicale, opera, jazz, gospel, rock e pop).

Per quanto riguarda gli strumentisti a fiato, lo strumento che mostra la più bassa quantità di aerosol emesso è la tuba mentre la tromba, l’oboe e il trombone basso sono quelli che ne producono di più.
A parte la quantità delle particelle di saliva emesse, tutti questi strumenti musicali generano particelle più grandi di quelle emesse dal normale parlare, a causa del livello di forte espirazione.

Il 29 marzo 2020, il Los Angeles Times aveva riferito di un coro che aveva fatto una prova di due ore e mezza per un concerto durante l’inizio della pandemia a Mount Vernon, nella contea di Skagit, Washington. I partecipanti avevano preso precauzioni evitando di toccarsi e di toccare superfici condivise e usando disinfettante per le mani, ma non avevano indossato mascherine e l’ambiente non era stato ventilato per tutta la durata
dell’evento. Sulle 62 persone che avevano frequentato la prova sono stati identificati 53 casi positivi; tre sono stati ricoverati in ospedale e due sono deceduti.
Il ricambio d’aria e la ventilazione della sala sono dunque fondamentali per rimuovere le particelle aerosol fluttuanti.
L’utilizzo di purificatori d’aria portatili o la riduzione del tempo delle prove della metà avrebbero potuto ridurre il numero delle persone infette da 52 a solo 5.
Da questa esperienza è sorta l’indicazione di limitare il tempo delle prove a 30 minuti, con almeno un cambio d’aria attraverso il sistema di ventilazione prima della prova successiva.

I filtri HEPA sono fortemente raccomandati per aumentare la quantità di aria pulita.
Con il termine filtro HEPA (High Efficiency Particulate Air filter) si indica un particolare sistema di filtrazione ad elevata efficienza di fluidi (liquidi o gas).
È composto da foglietti filtranti di microfibre (generalmente in borosilicato) assemblati in più strati, separati da setti in alluminio. Fanno parte dei cosiddetti filtri assoluti in quanto presentano un’efficienza di filtrazione compresa tra l’85% e il 99%.

È inoltre importante considerare il numero di cambi d’aria all’ora.
Poiché dopo i possibili eventi estivi all’aperto si spera di potersi spostare in teatri chiusi dall’inverno, si sta già consigliando un ambiente interno con un elevato tasso di ricambio dell’aria esterna tramite sistemi efficienti di ventilazione, ma anche con aria di ricircolo attraverso filtri o l’aggiunta di purificatori d’aria di dimensioni appropriate, o con tasso di ricambio dell’aria esterna da finestre aperte, integrate con purificatori quando il flusso d’aria è ridotto in determinate condizioni di vento esterno.

Secondo gli studi a disposizione, le mascherine FFP2 o KN95 bloccano il 90- 95% delle goccioline respiratorie su cui viaggia il virus.
Queste mascherine hanno diversi tipi di certificazione, a seconda del luogo in cui sono fabbricate.
La diversa procedura che ne attesta l’efficacia filtrante cambia in base al luogo di produzione delle stesse, poiché segue le norme di certificazione stabilite dal paese dove viene testato il corretto funzionamento dei dispositivi.
Il sistema di certificazione europeo si occupa non solo di valutare l’efficacia delle mascherine rispetto ai particolati inquinanti allo stato solido (tipo polvere), ma anche e soprattutto dei particolati sotto forma di droplets e aerosol diffusi per via aerea, ed è più attento alla resistenza all’inspirazione.
La soglia di resistenza media definita dalla normativa europea, infatti, risulta più bassa rispetto a quelle stabilite dal sistema di certificazione americano e cinese.
Questo fa presupporre che le mascherine FFP2 certificate secondo il regolamento europeo, garantiscano una maggior comodità e durata limitando il meno possibile la difficoltà nel respirare indossandole.
La maggior parte delle mascherine FFP2 non sono riutilizzabili. Sono dispositivi di protezione che, col passare del tempo, perdono progressivamente la loro efficacia. Per questo motivo, la durata di una mascherina FFP2 si aggira attorno alle 8 ore, pari a un ciclo orario di lavoro giornaliero (4 ore in treno), e deve essere poi cambiata, perché la respirazione e l’esposizione all’umidità ne compromettono progressivamente la capacità filtrante e l’integrità fisica.
Le mascherine di stoffa sembrano non garantire una protezione adeguata contro le varianti del coronavirus attualmente note (inglese, brasiliana e sudafricana e giapponese) che risultano altamente più contagiose. Il loro lavaggio, che per essere efficace va fatto ad alte temperature, potrebbe modificare in qualche modo la struttura del tessuto e non garantire più le stesse prestazioni.

Le mascherine sono sicuramente incriminate nella fatica vocale perché attenuano il segnale verbale, che può variare dai 3-4 decibel fino ai 12 circa (FFP2 e FFP3), l’alterazione si ha soprattutto sulle frequenze acute e medio-acute dello spettro acustico, sopra ai 4000 Hz, quindi tolgono brillantezza e penetranza al suono e il senso di proiezione.

Una facoltà di ingegneria negli USA ha analizzato il segnale verbale e le modifiche del segnale acustico su 12 tipi di dispositivi diversi mascherine di tessuto di strati diversi, chirurgiche, FP2, FP3 e visiere, con sensori in diversi punti di rilevazione per rilevare le diversità di attenuazione. Quella che attenuava di meno il segnale è risultata la mascherina chirurgica (anche se tutte comunque lo fanno sulle frequenze di ambito acuto e medio-acuto). Quindi la migliore resa acustica viene fornita dalla mascherina chirurgica. Dopo questa vengono le mascherine in tessuto a singolo strato, che però proteggono meno dal virus.
Le visiere in plexiglas sono quelle che compromettono di più la trasmissione del suono.

Le mascherine creano sicuramente una alterazione nella meccanica respiratoria. Soprattutto durante l’inspirazione vi è una riduzione del flusso, si avverte l’aumento di resistenza al flusso e l’ostacolo fisico rispetto alla proiezione vocale, per cui si viene a creare un sovraccarico di intensità vocale e una tendenza allo sforzo adduttorio cordale.

Le visiere in plexiglass non attenuano la trasmissione della malattia a causa della continua aerosolizzazione delle particelle piccole e medie che sfuggono ai lati, come anche gli schermi in plexiglass negli studi di canto tra insegnanti e studenti.
Queste barriere possono mitigare uno starnuto o una tosse dall’altra parte del plexiglass, ma se questo non separa completamente due persone in due spazi aerei separati i rischi rimangono.
Quindi, schermi facciali e partizioni in plexiglass sono efficaci solo a distanza ravvicinata per fermare le goccioline di grandi dimensioni e non impediscono l’inalazione o il rilascio di aerosol a meno che non venga indossata anche una maschera.

Quando vengono utilizzate tra i musicisti barriere in plexiglass ma il sistema di riscaldamento, ventilazione o aria condizionata della sala non è in grado di cambiare correttamente l’aria e si creano zone morte o aree in cui possono accumularsi aerosol.

I cantanti e gli insegnanti di canto sono atleti vocali che dipendono da una respirazione ottimale.
Se il sistema respiratorio è compromesso a causa di malattie o lesioni, il canto può diventare più faticoso, portando molti a utilizzare strategie vocali compensatorie potenzialmente dannose.

Molte infezioni gravi da COVID-19 richiedono un trattamento nell’unità di terapia intensiva e possono portare a sequele post-recupero durature inclusi problemi respiratori, fisici, cognitivi e psicologici. L’87% dei pazienti ha manifestato almeno 1 sintomo respiratorio dopo il recupero, con affaticamento e dispnea, soggetti comunque ricoverati in ospedale con gravi infezioni da COVID-19. Tuttavia, possono verificarsi sequele respiratorie anche a seguito di infezione senza sintomi gravi, come evidenziato in uno studio in cui sono stati intervistati 55 artisti professionisti di Broadway e cantanti di navi da crociera con sintomi moderati.
Tre mesi dopo la forma acuta, il 28% dei partecipanti ha continuato a soffrire di compromissione respiratoria e il 26% si è lamentato di affaticamento vocale; quindi, anche persone paucisintomatiche che non hanno avuto bisogno di ossigeno possono aver avuto un interessamento polmonare.

Al di là delle complicanze respiratorie/polmonari descritte, altre condizioni post COVID-19 influenzano la produzione vocale più direttamente: l’intubazione e le lesioni legate alla tosse; le paralisi o paresi delle corde vocali postvirali; la neuropatia sensoriale laringea postvirale, che crea una ridotta propriocezione con diminuzione del controllo motorio fine ed effetti negativi sulle capacità di canto; la fatica cronica, muscolare e vocale.