Analisi spettrografiche dell’evoluzione e involuzione vocale di Maria Callas alla luce di una ipotesi fisiopatologica
Articoli Scientifici
Franco Fussi (Ravenna) , Nico Paolo Paolillo (Milano) – proprietà intellettuale – in corso di pubblicazione
In considerazione dell’amplificazione mass-mediatica internazionale, talora non del tutto corretta nel riportarne i contenuti, data alla relazione da noi svolta al XIV COLLOQUIO DI MUSICOLOGIA DEL «SAGGIATORE MUSICALE», tenutosi a Bologna il 20 novembre 2010 presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, riportiamo per intero qui di seguito il testo della stessa:
ANALISI SPETTROGRAFICHE DELL’EVOLUZIONE E INVOLUZIONE VOCALE DI MARIA CALLAS ALLA LUCE DI UNA IPOTESI FISIOPATOLOGICA
Franco Fussi (Ravenna) , Nico Paolo Paolillo (Milano)
Dal momento della sua comparsa sulle scene liriche fino ad oggi, Maria Callas è apparsa come la moderna reincarnazione delle grandi dive dell’ottocento, le muse dei grandi compositori romantici, da Rossini a Bellini e Donizetti: i loro nomi erano Isabella Colbran, Maria Malibran, Giuditta Pasta. Tutte muse ispiratrici: pensando alle loro voci i suddetti musicisti hanno scritto le loro memorabili opere, assegnando a queste cantanti ruoli diversissimi tra loro per vocalità e interpretazione. Secondo le cronache del tempo, tutte le opere venivano eseguite indistintamente da queste artiste con eguale facilità e attendibilità, segno che la vocalità lirica trascendeva le moderne classificazioni e settorializzazioni delle voci, retaggio del periodo postromantico e verista. Merito tra i più importanti della Callas è stato quello di riportare in auge il modello ottocentesco di cantante lirica, definito da qualche critico con il nome di “cantante assoluta”, volendo evidenziare con questa definizione la grande capacità della nostra artista di adeguarsi in pieno ai più disparati tipi di repertorio.
Si è discusso da sempre sulla reale natura della voce di Maria Callas: soprano con notevole capacità nelle emissioni dei toni gravi o mezzosoprano/contralto con estrema facilità nella vocalizzazione in zona acuta e sopracuta?
Michael Scott riteneva fosse un soprano acuto, il celebre soprano Rosa Ponselle disse che era un soprano drammatico di coloratura, Ardoin e Leibowitz affermavano che si trattava di un mezzosoprano naturale, che con grande applicazione aveva acquisito un ragguardevole range di estensione anche in acuto.
La Callas nel 1957 disse di sé di aver iniziato come mezzosoprano naturale, affermando che il suo timbro era scuro, quasi nero; poi nel ‘68 aggiunse: parlavano di me come un soprano puro, ma la mia voce era più verso quella di mezzosoprano.
L’estensione vocale rilevabile dalle registrazioni live e in studio è compresa tra il mi sovracuto in alto e il fa# grave sotto il rigo in basso, come si può ascoltare nella cadenza finale dell’aria “Arrigo, ah parli a un core” da “I Vespri Siciliani” di G. Verdi per il grave e dal finale dell’aria delle campanelle dalla Lakme’ di L. Delibes per il sovracuto.
Nell’arco di tutta questa ragguardevole estensione, si possono riscontrare diversi settori, che nella prima fase della carriera erano omogeneamente saldati tra di loro, mentre nella fase successiva erano divisi da evidenti fratture.
Nella nostro studio abbiamo utilizzato una metodica di indagine che sfrutta principalmente la spettrografia: è un’analisi che mette in evidenza tutte le caratteristiche armoniche e formantiche della voce, evidenziate in un grafico che può essere paragonato a un’impronta digitale della voce.
In prima istanza è stata presa in considerazione la cadenza finale dell’aria “Arrigo ah parli a un core” dal IV atto dei vespri siciliani di verdi: è la cadenza cromatica discendente più estesa cantata dalla Callas con un’estensione di 2 ottave e mezzo dal do# sovracuto al fa# grave. È interessante notare che questa cadenza è da eseguire in piano, che è espressione di un prevalente lavoro glottico di mix tra registri, a discapito di un minor interessamento risonanziale. In più, essendo una scala cromatica discendente, il controllo sulla “postura laringea” è minore rispetto a quello di una scala ascendente, lasciando la laringe libera di lavorare “secondo natura”, senza importanti condizionamenti volontari. Altro essenziale elemento per la nostra valutazione è rappresentato dalla vocalizzazione su una o due vocali, cosa che elimina, o perlomeno limita, l’influenza dell’articolazione sull’emissione.
Analizzando tre diverse edizioni della stessa cadenza eseguita in anni diversi, possiamo cominciare anche a fare delle considerazioni sull’evoluzione della voce della Callas.
La prima risale ad una recita dal vivo a Firenze del 1951. Ad un primo ascolto si possono avvertire diversi punti in cui si rilevano dei piccoli “scalini” con impercettibili cambi di colore della voce. L’acuto è sicuro e raggiante, emesso con estrema facilità grazie all’utilizzo di un registro laringeo di mix tra M1 ed M2 o, usando i termini della didattica, tra registro pieno e registro di falsetto, che permette alla nostra cantante una facile e bella filatura, segno di una stabilità di emissione e di un controllo pneumofonico ragguardevoli. All’analisi spettrografica di questo passaggio si evidenzia la stabilità della nota più acuta caratterizzata da un vibrato di 5 cicli al secondo; un primo cambiamento formantico accompagnato da irregolarità delle onde armoniche spettrografiche si evidenzia a livello del fa#-fa della seconda ottava, punto in cui si trova il passaggio tipico dei soprani. Proseguendo verso il basso si arriva al punto in cui si nota maggiormente un brusco scalino: siamo a livello del mi dell’ottava centrale, zona intermedia tra il primo passaggio del mezzosoprano e quello del contralto. Osserviamo infatti una nuova e più evidente irregolarità nelle onde armoniche. Una volta effettuato il passaggio, però, le onde armoniche tornano a essere regolari, segno di comodità vocale in questo ambito tonale.
Passando a più di dieci anni dopo, abbiamo analizzato la versione del ‘64 in sala di registrazione. È un periodo caratterizzato da una forma vocale non più ottimale. Appare subito evidente che la voce appare nel complesso più appesantita e inaridita, l’acuto ha una durata nettamente inferiore e l’abilità nel mixare alla perfezione i due registri M1 e M2 è ridotta per una maggior tendenza al registro di falsetto su quello pieno. Anche qui, come nel caso precedente, evidente “scalino” dal mi centrale.
L’ultimo esempio analizzato di questa serie deriva da una registrazione in studio del 1969: la nostra artista dopo un’interruzione dell’attività dal 65 al 68 aveva ripreso lo studio con la sua maestra elvira de hidalgo: Ardoin sostiene che i suoni acuti sono più liberi e facili; a nostro parere si tratta più di una tendenza a suoni in falsetto nel settore acuto estremo. Infatti nella nostra cadenza si rileva una vistosa rottura del suono tra si e sib per il brusco passaggio tra registri (da mix tendente a falsetto a registro pieno, senza gradazioni). I restanti settori tonali mantengono le caratteristiche dell’esempio precedentemente descritto del 64, soprattutto l’irregolarità delle onde armoniche a livello del mi grave.
Come prime conclusioni bisogna convenire con Ardoin, Leibowitz e la stessa Callas che ci troviamo di fronte a una voce di mezzosoprano/contralto naturale con una zona di passaggio in basso fra fa e mi (intermedia tra quelle caratteristiche appunto di mezzosoprani e contralti) con una notevole propensione alla zona acuta, tanto è vero che il passaggio tra medi e acuti si trova tra fa e fa#, caratteristico dei soprani.
Ad ulteriore conferma di quanto asserito abbiamo fatto un confronto con un’altra grande cantante, una belcantista d’eccezione, della quale non è stata mai messa in discussione l’appartenenza alla categoria di soprano tout-court: Monserrat Caballé; questo soprano, come la Callas, esegue la cadenza dei vespri siciliani nella sua interezza nell’estensione di 2 ottave e mezzo. Allora perché non mettere a confronto l’ascolto e le caratteristiche spettrografiche delle 2 esecuzioni?
Appare evidentissimo all’ascolto una spettacolare bellezza e omogeneità del suono nelle intere due prime ottave da un acuto in pianissimo fino al do centrale grave: in questo ampio intervallo le onde armoniche appaiono sorprendentemente regolari senza alcun segno di scalino o cambiamento; di contro, dal do centrale fino al fa# grave è evidente una notevole irregolarità delle onde armoniche: tutto ciò è segno che le caratteristiche vocali di questa cantante non facilitano una naturalezza di esecuzione del settore tonale grave avendo bisogno per questo di modificare radicalmente l’atteggiamento del vocal tract per conferire al suono rotondità e spessore altrimenti non ottenibili. Anche per la Caballé variazioni formantiche a livello del passaggio Mi-Fa-Fa# della II ottava, tipico dei soprani.
Analizzando, invece il colore e il timbro della voce, abbiamo effettuato un paragone tra la Callas e il mezzosoprano Fedora Barbieri in un frammento del duetto tra Gioconda e Laura dalla Gioconda di Ponchielli “L’amo come il fulgor del creato” eseguito nel 1952 in sala di registrazione.
Come si ascolta bene, in basso la voce della Callas in molti momenti sembrerebbe essere addirittura più scura di quella della Barbieri, autentica voce di mezzosoprano, pur sommando a questo colore scuro un elemento di penetranza percettiva che le conferisce lo smalto più sopranile nei centri e acuti, caratteristica, questa, dovuta molto probabilmente alla particolare conformazione del vocal tract della Callas, in particolare alla conformazione ogivale del palato.
Analizzando, poi le caratteristiche dei diversi registri laringei, abbiamo riscontrato una diversa evoluzione della voce della cantante a seconda del registro considerato.
Per l’analisi del registro pieno nel settore acuto abbiamo analizzato lo stesso frammento del recitativo “Ben io t’invenni” dal I atto del Nabucco di Verdi relativo a diversi periodi: si tratta di un passaggio molto difficile che comprende un intervallo brusco di 2 ottave dal do sovracuto al do centrale; nei primi due esempi risalenti rispettivamente al 49 e al 52, l’esecuzione è di grande levatura; l’acuto è ben sostenuto e squillante e il grave è corposo e allo spettrogramma è caratterizzato da un rinforzo formantico per sovrapposizione di F2 e F3 tra 2800 e 3200 Hz (caratteristica, questa, tipica dei mezzosoprani scuri, essendo le note gravi dei soprani drammatici caratterizzati solo talvolta da un più generico e diffuso rinforzo di 2000 o più Hz tra 2,6 e 4,6 hz.)
Nel 58 le cose cambiano, prima della scala ascendente che porta al do questa volta la cantante prende fiato e gli estremi acuti risultano più stridenti e di minor durata, affetti da oscillazione e il grave si rileva più intubato; nell’ultimo esempio del 63 i difetti descritti in precedenza si accentuano ma i gravi risultano meno intubati con tendenza alla nasalizzazione e affondo laringeo. Col passare degli anni il vibrato sugli estremi acuti subisce una riduzione di cicli al secondo e un aumento di ampiezza risultanti in oscillazioni marcate della voce.
Abbiamo effettuato dei confronti con 2 soprani: Renatala Scotto, che ha esordito come soprano di coloratura e che nella seconda parte della carriera si è cimentata anche in ruoli drammatici, più per predisposizione interpretativa e di temperamento che per effettivo peso vocale, e Ghena Dimitrova, soprano Drammatico dall’esordio, che poi ha anche affrontato ruoli da mezzosoprano nella seconda parte della carriera. Oltre alle palesi differenze nell’acuto, in entrambi i casi si evidenzia una diffusione armonica a livello del settore tonale grave che ci indica l’appartenenza alla categoria vocale di soprano.
Le stesse considerazioni sull’evoluzione vocale si possono effettuare ascoltando l’evolversi negli anni dell’esecuzione di un’altra difficile cadenza dal III atto della Tosca di Puccini: la famosa cadenza della “lama”, caratterizzata da un’estensione dal do acuto al do centrale. Nelle esecuzioni dei primi anni l’emissione vocale è sana e non ci sono errori, mentre nel secondo periodo di carriera, oltre a un inaridimento del timbro, si ascoltano estremi acuti stridenti, oscillanti e di breve durata.
Passando ad analizzare, invece, l’emissione a voce piena nel settore tonale grave, abbiamo preso in considerazione alcune frasi della celeberrima aria “Suicidio” dalla Gioconda di Ponchielli e abbiamo fatto un confronto con la voce di Renata Tebaldi, un soprano che ha fatto di quest’opera uno dei suoi cavalli di battaglia. In questo caso, invece, osserviamo che la voce della Callas conserva una sostanziale padronanza dell’emissione in tale settore tonale, anche nella fase estrema della carriera, cosa che ci confermerebbe la reale natura di mezzosoprano/contralto, caratterizzata da estrema facilità in tale ambito tonale. Nel confronto con la Tebaldi, osserviamo delle differenze spettrografiche che ci confermano caratteristiche vocali da soprano per quest’ultima e da contralto/mezzosoprano per la Callas.
In conclusione, essendo l’emissione a voce piena nel settore tonale acuto un lavoro esclusivamente muscolare, possiamo osservare come col passare degli anni ci sia un peggioramento della competenza glottica e del bilanciamento pneumo-fono- risonanziale nel sostenere una vocalità molto pesante, quindi in sostanza un deterioramento del rendimento prettamente muscolare. Tutto ciò coincide con le considerazioni sullo stato di salute della cantante nella seconda parte della carriera, che analizzeremo dopo.
Abbiamo poi considerato il registro di Mix M1-M2, caratterizzato da un’emissione più leggera, flessibile e facile nel settore acuto, ottenuta grazie ad un equilibrio delicato tra antagonisti, cioè da una parte muscoli che tendono ad aumentare il corpo e la tonicità delle corde vocali (M1) e dall’altra muscoli che tendono ad allungare e assottigliare le stesse (M2). In questo modo si ottiene un timbro che ha più corpo e portanza di un falsetto, ma che nel contempo possiede una brillantezza e una flessibilità maggiori rispetto al registro modale. Per ottenere questo, inoltre, è indispensabile un dosaggio preciso delle dinamiche respiratorie per regolare la pressione sottoglottica nelle varie intensità di fonazione. È indispensabile, quindi in questo caso, una tecnica vocale ottimale, che esula in parte dalla prestanza e dall’intenso lavoro muscolari.
Come esempio portiamo un’analisi condotta sulla splendida melodia che bellini assegna a Norma nella I scena del II atto dell’opera omonima: “Teneri figli”. È richiesta un’esecuzione tutta in pianissimo in un settore tonale medio che però tocca spesso il passaggio nelle note di fa- fa#4 fino al sol4. Nel primo esempio da una registrazione in studio del 54, il suono è purissimo e si apprezza la fermezza e stabilità glottica nello sfumare il suono fino ad intensità lievissime senza incrinature o oscillazioni della voce anche in zona di passaggio. Il vibrato è regolare per frequenza e ampiezza (5-6) . Il secondo esempio è rappresentato dallo stesso brano registrato in studio nel 1960, l’esecuzione vocale è altrettanto buona, anche se rispetto al precedente si nota una minor abilità nel dosare l’intensità del suono fino ad intensità sonore minime e in zona di passaggio si evidenzia un lieve aumento dell’intensità di emissione, per maggior difficoltà a mixare i registri M1 e M2 a intensità lievi. Qui, poi, il vibrato, pur essendo regolare per frequenza di cicli al secondo (5-6), possiede un netto aumento dell’escursione frequenziale per ogni ciclo, dando in tal modo la sensazione di lieve oscillazione del suono.
Gli altri esempi analizzati (Traviata, Lucia, Sonnambula) che riguardano il settore acuto e sopracuto ci dimostrano che, pur con l’avanzare degli anni il settore è molto meno compromesso di quanto lo sia nel registro pieno; qualche imperfezione in più c’è ma sembrerebbe più dovuta ad una più difficoltosa gestione delle dinamiche respiratorie (qualche oscillazione o passaggi dal mezzoforte al piano meno graduali e più bruschi). In questo caso, essendo di fronte a un’emissione che richiede maggior competenza tecnica, rispetto a forza muscolare, osserviamo una maggior integrità nel corso di tutta la carriera.
Una delle rivoluzioni attuate da Maria Callas è anche stata quella di ripristinare da un lato la prassi esecutiva belcantistica ottocentesca, ma anche di essersene divincolata per motivi puramente espressivi, venendo meno spesso ai principi di omogeneità, purezza e bellezza dell’emissione vocale. Si ascolti ad esempio il “Numi venite a me…” dalla Medea di Cherubini, in cui, nel contesto delle stesse frasi, l’emissione cambia continuamente, passando da un’ampia penetranza timbrica, all’affondo laringeo, da suoni intubati a suoni nasali o schiacciati o schiariti: tutto per rendere con estrema efficacia il carattere del personaggio e la psicologia del preciso momento scenico. Simili considerazioni si possono fare sull’ingresso di Madama Butterfly o sulla sua presentazione a Sharpless, in cui una voce scura come quella della Callas si schiarisce tanto da simulare la voce di una bambina.
Tante teorie sono state formulate sul suo declino vocale: alcuni lo attribuirono alla repentina e ingente perdita di peso che avrebbe causato un indebolimento del diaframma con difficoltà conseguente a gestire soprattutto il settore acuto, in particolar modo nelle opere più pesanti vocalmente, e una maggiore tendenza all’oscillazione dei suoni; altri attribuiscono un effetto negativo all’eccessivo utilizzo delle consonanze di petto nel registro medio-grave; altri (Meneghini) ancora propongono un’influenza negativa causata dalla menopausa precoce della cantante; altri infine riferiscono di una perdita del sostegno del fiato. In compenso alcuni critici hanno definito benefico il calo ponderale, in quanto foriero di un alleggerimento della voce e di un miglior controllo sulle dinamiche! Ognuno ha detto la sua…! Tito Gobbi sosteneva che nulla fosse successo alla voce della Callas, solo una perdita di sicurezza e fiducia in se stessa dovuta all’estremo stress psico-fisico nel mantenere le aspettative date dal suo grande successo.
Caso del soprano drammatico Deborah Voigt che ha subito un calo ponderale di più di 60 Kg dopo chirurgia gastrica per obesità: “la funzione del mio diaframma e la voce non sono state compromesse; ma devo pensarci di più, devo ricordarmi di continuo di mantenere le costole aperte quando il fiato inizia a ingolfarsi, altrimenti rischio di non riuscire a finire la frase o di rompere I suoni in acuto. Questo non succedeva prima di perdere peso”. Quindi in definitiva un maggior lavoro muscolare per compensare i cambiamenti fisici dovuti alla perdita di peso.
La Callas stessa attribuiva i suoi problemi alla perdita di sicurezza nell’emissione apportata da un indebolimento del sostegno, anche se non ha mai fatto connessioni tra ciò e la sua perdita di peso; nel settembre 1977, poco prima di morire, in un’intervista affermò che non aveva mai perso la voce, ma che aveva perso la forza nel diaframma, che le sue corde vocali erano in perfette condizioni e che i suoi risuonatori non lavoravano bene. Il risultato di questo sarebbe stato una forzatura della voce che avrebbe causato prima di tutto l’oscillazione della voce.
Abbiamo quindi analizzato in dettaglio la dinamica respiratoria della Callas. Non esistono video della cantante durante il periodo in cui era in soprappeso, ma le foto ci mostrano tutte una postura molto ben eretta, con le spalle rilassate, basse e indietro. Tutti i video del periodo dopo il dimagrimento ci mostrano un continuo movimento di collassamento del petto durante l’espirazione in fonazione. Analizzando alcuni video di concerti in cui, complici dei vestiti che permettono di vedere di più, si possono notare diversi atteggiamenti posturali di compenso.
È necessaria una premessa anatomo-fisiologica: il muscolo grande dorsale (m. latissimus dorsi), con la sua forma triangolare, è il muscolo più esteso del corpo umano. Situato nella zona toracica, ricopre la parte laterale e inferiore del dorso, formando la parete posteriore della cavità ascellare. I fasci muscolari si dirigono lateralmente e si inseriscono sull’omero. Dal lato opposto ha inserzione vasta dalla spina iliaca del bacino, alla colonna toraco-lombo-sacrale, alle ultime 4 vertebre. Interviene nel movimento di adduzione, estensione e rotazione interna dell’omero.
Utilizzando l’omero come punto fisso, solleva il tronco ed innalza le costole (muscolo inspiratore). I muscoli antagonisti sono il deltoide, abduttore ed elevatore dell’omero, e il trapezio, che si origina dalla linea nucale superiore, dalla protuberanza occipitale, e dalla VII vertebra cervicale e da tutte le vertebre toraciche e ha inserzione al margine posteriore della clavicola e alla scapola. Le sue funzioni sono quelle di elevazione e adduzione della spalla, estensione e rotazione dal lato opposto della testa ed è uno dei gruppi muscolari più potenti del nostro corpo.
Nei video che abbiamo analizzato (Amburgo 59 e 62) si vede come durante la fase espiratoria nel canto ci sia una marcata contrazione del capo omerale del gran dorsale e per compenso una contrazione del trapezio e del deltoide con conseguente innalzamento e avanzamento delle spalle. Soprattutto nelle frasi più lunghe e intense si nota una tendenza all’iperestensione della colonna vertebrale per contrazione dei capi opposti del gran dorsale e per una verosimile contrazione degli altri muscoli posteriori (muscoli spino-dorsali, quadrati dei lombi e soprattutto gli psoas) per ritardare la risalita del diaframma posteriore attraverso un’azione di trazione sui pilastri diaframmatici posteriori.
Nel contempo è frequente una postura conserta ma attiva delle braccia, che aumenta l’antagonismo all’azione del gran dorsale con aumento dell’azione a livello del capo omerale prima, e dorso lombare nel prosieguo dell’espirazione.
Questo atteggiamento respiratorio comporta notevoli variazioni posturali che interferiscono con un corretto accordo pneumofonico; infatti proprio nei momenti in cui tale atteggiamento è più accentuato i suoni oscillano, diventano instabili e forzati. La contrazione del trapezio, poi, oltre a innalzare le spalle, può comportare un aumento della contrazione degli altri muscoli cervicali, con conseguente irrigidimento del collo e peggioramento dell’emissione sonora.
Il compenso respiratorio che a causa del dimagrimento la costrinse al maggior lavoro sulla catena posteriore per esaltare la componente di appoggio probabilmente accentuò il registro modale evidenziandone la frattura con il resto della gamma, che risultò gradualmente sempre più appesantita (con ampiezza di vibrato maggiore –non qui dove è ancora ottimo, cioè entro un quarto di tono- e incapacità di mixare il meccanismo I)
Il decadimento vocale fu imputato a cause più disparate. Sempre in relazione al calo ponderale furono invocati gli effetti tossici della Tenia che avrebbe ingerito allo scopo. Altri attribuirono l’appesantimento della consonanza di petto alla scelta del repertorio, che probabilmente ne fu invece una conseguenza. Altri ancora ad una presunta precoce menopausa, sconfessata dalla infelice gravidanza da Onassis che esitò nella nascita di un bambino morto. Il gossip insistette sullo stress psicologico cronico, che ne minò l’autostima, correlato alle vicende sentimentali o all’antagonismo professionale con i colleghi, prima fa tutte la Tebaldi.La Callas ne era consapevole, i primi segni furono proprio nel 58, chiedeva spesso alla sua amica Lomazzi se la sua voce fosse ferma, quasi iniziasse ad avvertire un mancato controllo sul vibrato.
L’anamnesi del suo stato di salute fino a quel momento metteva in evidenza solo che era ipotesa e per questo dormiva abbastanza il mattino e consumava un certo numero di caffè nella giornata.
Arriviamo così al grande scandalo della prima rappresentazione della ”Norma” al Teatro dell’Opera di Roma, il 2 gennaio del 1958, alla presenza dell’allora presidente Giovanni Gronchi. Scandalo perché la Callas dopo ben un’ora di attesa decise di interrompere al primo atto la rappresentazione. Prima di individuare le cause di quel forfait, ascoltiamo le cronache di quella serata.
Le aspettative erano alte. Nulla faceva presagire il forfait.
Ho trovato la registrazione di quella serata, ascoltiamo insieme come cantò la Callas, e poi cerchiamo di farne una analisi spettrografia. La voce era intatta.
Ma allora perché lasciò? L’amica Giovanna Lomazzi che la accompagnava sempre era in quei giorni trattenuta a Milano, la chiamò il 2 mattina per augurarle in bocca al lupo e Maria rispose “E’ un miracolo che ti possa parlare…”
Come è noto il controllo dell’emissione in caso di flogosi delle alte vie respiratorie richiede un maggior lavoro sulla respirazione e sulla gestione dei risuonatori; non è impossibile cantare in fase virale iniziale o di media entità, ma comunque pericoloso, e durante il riposo (intervallo) è facile assistere ad un peggioramento (disfonia più accentuata nel parlato ma anche impossibilità a gestire il canto)
Nel corso di un intervallo, dopo aver cantato un primo atto in condizioni di flogosi delle corde vocali, è possibile assistere ad un aumento dell’infiammazione e un peggioramento dello stato edematoso dell’epitelio che riveste le corde vocali stesse, con incipiente afonizzazione (perdita di qualità timbrica e intensità, difficoltà negli attacchi, voce “dura”, impossibilità nel gestire le dinamiche di intensità, riduzione dell’estensione in acuto, pericolo di break vocale) con gravi defaillance alla ripresa del canto.
Inutilmente l’artista, come testimoniato da un suo biglietto scritto con la matita per gli occhi, cercò di chiarire l’episodio e di discolparsi dalle accuse che all’epoca la dipingevano come una diva capricciosa e irascibile. Il giorno successivo alla rappresentazione, il ministero dell’Interno diffuse una circolare secondo la quale si invitavano tutti i teatri italiani a non scritturare la Callas per aver offeso il presidente Gronchi. Alla replica pubblica della Callas, in conferenza stampa, seguì l’invio di un mazzo di fiori da parte della moglie dello stesso presidente Gronchi, ma non un ‘placet’ ufficiale che le permettesse di tornare in scena.
Dopo il 60 La Callas andò sempre più peggiorando finché, verso la fine del 1975, venne visitata dal dottor Mario Giacovazzo, della Clinica medica del Policlinico di Roma, al tempo medico personale di Aldo Moro. «Fui subito colpito dal colorito bluastro della pelle e da una sfumatura violacea sul collo, a sinistra… Aveva le mani piene di bitorzoli… Tutti segni fortemente suggestivi di una malattia – la dermatomiosite ». Il merito di Giacovazzo fu quindi di aver stabilito, finalmente, per la prima volta, che il progressivo decadimento della voce della cantante dipendeva da una malattia vera e propria, e non dai ventilati fattori psicosomatici sui quali ostinatamente insistevano i rotocalchi.
Si trattava in modo evidente di “dermatomiosite”, una patologia che la gran parte dei medici conosceva allora solo per averla studiata sui libri, quasi una curiosità, che vedevano di rado. Una malattia a lenta evoluzione del tessuto connettivo (ubiquitario nel corpo) che porta ad atrofia progressiva della pelle e dei gruppi muscolari colpiti. E in cui possono essere coinvolti muscoli del collo, della laringe e della faringe (con disturbi di deglutizione e di fonazione) e i muscoli della respirazione. Aderendo ovviamente al segreto professionale, il medico non diffuse la notizia (ne parlerà apertamente soltanto alla fine del 2002) e intraprese tempestivamente la terapia (all’epoca ancora molto precaria) con un farmaco cortisonico ad azione antinfiammatoria che portò un miglioramento llusorio, tant’è che, all’inizio del ’76, la Callas decise di tornare sulle scene e di partecipare ai concerti programmati con il grande tenore Giuseppe Di Stefano. Ma evidentemente era ormai troppo tardi. La terapia cortisonico in realtà non fece altro che aggravare il glaucoma che affliggeva la cantante. E se nel settembre dell’anno seguente i mass media annunciarono la sua morte “per infarto”, Vale la pena ricordare che nella dermatomiosite esiste una frequente associazione con insufficienza cardiaca e aritmie.
Fu forse la dermatomiosite dunque a essere determinante per fermare il suo daimon interiore, il fuoco sacro che la muoveva nell’arte in 15 anni di passioni senza compromessi, inferocito dai limiti di un corpo che non sapeva più piegare al canto come lei sapeva fare e che negli ultimi anni ne dipinse sul volto una tragica, dolente e fiera consapevolezza, come vediamo in uno dei suoi ultimi concerti. Al termine ancora gli applausi, ma dentro di lei il dolore di una impotenza tecnica che non permetteva più libertà e naturalezza della sua immutata potenza interpretativa.